Parlare oggi di workspace management coincide con l’identificare almeno due accezioni che si riferiscono alla gestione dello “spazio di lavoro”. Una, che è anche quella più ricorrente sul Web, corrisponde alle soluzioni software e alle tecnologie che occorrono per governare efficacemente le aree in cui i lavoratori svolgono le proprie attività.
Si tratta in sostanza degli strumenti digitali che semplificano l’accesso agli ambienti e alle postazioni, la condivisione delle sale, il monitoraggio dei flussi, fino all’utilizzo degli endpoint (desktop e smartphone in primis) affidati a ciascuna persona.
L’altra accezione, più estensiva, abbraccia un’idea di workspace management come strategia che le aziende sono chiamate ad adottare soprattutto oggi, nell’era del lavoro sempre più diffuso e sempre meno incentrato su una localizzazione fissa o, per adoperare un aggettivo divenuto assai noto, nell’era del lavoro smart. Laddove “smart” non è sinonimo di remoto, quanto invece di estremamente flessibile nella dinamica relazionale tra impresa e dipendente.
La legge 81/2017, fonte normativa del workspace management
È lo stesso legislatore italiano che, tramite la legge 81 del 2017, sottolinea i confini dello smart working, o lavoro agile, quando afferma all’art. 18 che rappresenta la “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività”.
La pandemia ci ha fatto comprendere che l’utilizzo di strumenti tecnologici non può essere soltanto “possibile”, ma è assolutamente necessario. Tanto più che, come recita il medesimo articolo, “la prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa”. Il che significa che essere sprovvisti di un workspace management, inteso come suite tecnologica che governi gli ingressi e la rotazione dei lavoratori nel medesimo spazio, sarebbe fonte di caos e non certo dell’auspicata flessibilità.
Smart o hybrid work, ciò che conta è soprattutto la fiducia
Senza citarlo, la legge evoca un concetto che oggi viene spesso affiancato a quello di lavoro smart, il concetto di lavoro ibrido. Da un sondaggio del novembre scorso, commissionato da Google Workspace all’Economist Impact e incentrato proprio sull’hybrid work, è emerso che a rimanere indietro, rispetto alle soluzioni tecnologiche e ai nuovi modelli di collaborazione, è la cultura organizzativa delle aziende.
La maggioranza degli intervistati ha detto ad esempio che la mancanza di supervisione faccia a faccia crea un senso di sfiducia tra manager e dipendenti, mentre l’aumento del monitoraggio associato al lavoro flessibile è fonte di stress. Non a caso più del 70% degli intervistati ha lamentato che la fiducia è il punto nevralgico nel rapporto tra manager e dipendenti. Se ne ricava che un’evoluzione realmente smart del lavoro, oltre a fondarsi sull’implementazione di workspace management, non può prescindere da un cambiamento culturale profondo caratterizzato da elementi chiave quali la condivisione degli obiettivi aziendali seguita dalla fiducia nella capacità dei dipendenti di saperli conseguire.
Workspace management per valorizzare i talenti
Non basta, in pratica, una dotazione IT idonea a rendere davvero smart il lavoro. Serve anche e soprattutto una visione strategica sottostante con la quale l’azienda realizzi una filosofia di workspace management in grado di valorizzare i propri talenti. Alla base del workspace management, infatti, si colloca la capacità di mettere ogni lavoratore in condizione di esercitare al meglio i propri compiti sia singolarmente sia in relazione con i colleghi.
Per questo tutti i dettagli del contesto in cui la persona opera devono favorire il raggiungimento di quegli obiettivi che l’azienda ritiene prioritari. Dettagli quali la condivisione degli spazi di coworking, l’accesso a postazioni perfettamente funzionanti ed efficienti, l’impiego di tool di collaboration per l’interazione con i clienti, il comfort stesso dei locali che ospitano i dipendenti. Se smart vuol dire flessibile e foriero di maggiore produttività, è con gli strumenti e una strategia di workspace management che entrambi si possono concretizzare, sempre che la cultura dell’azienda sia ispirata a un sentimento effettivo di fiducia nei confronti di collaboratori e dipendenti.